Qualche tempo fa ho avuto il piacere di conoscere Andrea Vendrame la cui storia mi ha incuriosito fin da subito: investito da un’auto in allenamento, ha rischiato di non tornare più sopra una bici. Prima un ospedale, poi un altro, poi un delicato intervento chirurgico, quindi le difficoltà del post-operazione.
Alla fine Andrea non solo è riuscito a tornare in bici, ma è stato capace di piazzarsi nei primi dieci già alla terza gara, e da lì non è mai più uscito dagli ordini di arrivo, collezionando anche una fila interessante di secondi posti.
La storia di Andrea mi interessa non solo per il modo e la velocità con cui ha superato il trauma, quanto per i risultati che ha ottenuto dopo: medaglia di bronzo al Campionato Europeo Under 23, quarto posto alla Coppa Sabatini tra i Professionisti.
Nella letteratura scientifica sulla motivazione si sta facendo strada la teoria Talent needs trauma, secondo la quale gli individui che hanno affrontato delle avversità ed hanno vacillato in passato, probabilmente metteranno in atto degli sforzi più persistenti per raggiungere il top in futuro.
Questa teoria trova riscontro in uno studio pubblicato quest’anno sulla rivista “Frontiers in Psychology”, il quale evidenzia delle interessanti differenze tra “super campioni” e “quasi-campioni”.
I “super campioni”, in questo studio, sono giocatori di Premier league, Bundesliga e Liga Spagnola con all’attivo numerose convocazioni in Nazionale; oppure sono atleti di sport individuali vincitori di almeno quattro medaglie d’oro ai Campionati del mondo o alle Olimpiadi. I “quasi-campioni” sono giocatori di leghe nazionali di seconda fascia oppure atleti individuali che hanno vinto medaglie mondiali nelle categorie giovanili, ma non si sono ripetuti ai livelli più alti.
La ricerca ha messo in luce che tutti gli atleti intervistati si sono imbattuti durante la loro carriera in problemi più o meno seri, ma hanno reagito in modo diverso:
- I “super campioni” hanno avuto una reazione quasi fanatica verso la sfida e hanno superato i problemi grazie ad un’attitudine a non sentirsi mai soddisfatti;
- mentre i “quasi-campioni” hanno maledetto gli intoppi, sono diventati negativi ed hanno perso motivazione.
Ma da cosa dipende questa differenza di atteggiamento?
I ricercatori sono scesi più in profondità ed hanno scoperto che tutti gli atleti intervistati erano orientati a migliorare, ma con un concetto diverso di miglioramento:
- i “super campioni” risultavano guidati dall’interno, il loro principale interesse era il proprio sviluppo personale e giudicavano il loro livello atletico confrontandosi con le precedenti versioni di se stessi, non con gli altri;
- i “quasi-campioni” invece erano focalizzati su elementi esterni a loro, come le classifiche, i punteggi, o i propri avversari
. Questo aspetto secondo i ricercatori spiega perché la maggior parte degli atleti si scoraggia durante i momenti di difficoltà mentre i “super campioni”, concentrati sul proprio sviluppo personale, riescono a tener duro e a trarre dai problemi una reale crescita.
Fin qui la ricerca è già di per sé molto interessante, ma manca ancora un livello di spiegazione per chiudere il cerchio, perché i “super campioni” sono orientati verso sé stessi e gli altri sono orientati verso l’esterno?
La risposta è quanto mai interessante: genitori, fratelli e allenatori fanno la differenza. Solo i ”super campioni”, infatti, hanno riferito di non aver mai ricevuto pressioni dai genitori, ma piuttosto un delicato incoraggiamento, un mostrare interesse ma rimanendo “un passo indietro”, senza assumere il ruolo di allenatori, oppure lasciandolo ad altri una volta arrivati alle categorie superiori.
I “super campioni” hanno inoltre riferito di aver sentito molto la vicinanza di un fratello o di una sorella, anch’essi atleti; infine, hanno riferito di aver avuto degli allenatori che utilizzavano una prospettiva di lungo periodo, pluriennale, anziché perseguire risultati immediati e, guarda caso, di aver intrattenuto con i loro allenatori un rapporto di collaborazione molto più duraturo nel tempo rispetto ai “quasi-campioni”.
E l’impegno in allenamento allora, che per anni ci è stato proposto come l’elemento che fa la differenza, che fine ha fatto? In effetti l’impegno ha un ruolo rilevante. Per comprenderlo occorre riferirsi ad una terza categoria usata dai ricercatori, denominata “campioni” (giocatori di leghe importanti, ma con poche convocazioni in Nazionale, oppure atleti individuali vincitori di una sola medaglia ai Campionati del mondo o Olimpiadi).
Questi, come i “super campioni” si impegnano in modo totalizzante negli allenamenti, mentre invece i “quasi-campioni”, pur amando il proprio sport, considerano le gare più importanti degli allenamenti, che vedono come un’attività che preferirebbero evitare, se potessero.I
n estrema sintesi, lo spartiacque tra “quasi-campioni” e “campioni” sarebbe l’impegno estremo in allenamento, mentre lo spartiacque tra “campioni” e “super campioni” sarebbe la presenza di persone vicine (familiari e allenatori) in grado di dare incoraggiamento nei momenti difficili senza mettere pressione e utilizzando sempre una prospettiva di lungo periodo.
Il ciclismo è uno sport situazionale. I migliori ciclisti sanno tener conto contemporaneamente di una quantità ampia di informazioni: le circostanze della gara, i comportamenti degli avversari, le condizioni del terreno, quelle atmosferiche, della propria bike e, non ultime, del proprio fisico in ogni specifico momento.
I migliori atleti che praticano sport situazionali sanno adeguarsi continuamente alle richieste di ogni momento della competizione. Questo è un punto che a molti sfugge… la gara ha delle richieste!
A queste gli atleti devono rispondere con dei comportamenti specifici per farvi fronte, per gestirle.
Solo i più reattivi, preparati ed esperti rispondono in modo adeguato.
Come rispondono i migliori ciclisti alle richieste di una gara?
La loro dote risiede nella capacità di saper modificare velocemente, in maniera più o meno consapevole, il focus attentivo. Il focus attentivo è il modo personale di prestare attenzione alle varie fasi della gara e può essere di tipo interno o esterno.
E’ interno quando i pensieri dell’atleta si concentrano sulle sensazioni interne al proprio corpo, quali ad esempio la frequenza cardiaca, le energie ancora disponibili, lo stato di idratazione, il livello di affaticamento muscolare e la capacità di respirare funzionalmente.
Viceversa il focus è esterno quando l’atleta si concentra su fattori esterni rispetto al proprio corpo, come ad esempio la direzione del vento, i chilometri ancora da percorrere, la lunghezza di una salita, il lavoro che sta compiendo una certa squadra o lo scatto di un avversario.
Durante una gara è necessario passare tantissime volte da un focus interno ad uno esterno e viceversa. Questa attività si chiama switch. Prendiamo come esempio il caso di un ciclista dentro una fuga. Il ciclista in fuga:
- guarda gli avversari, cerca di capire i loro punti di forza (focus esterno)
- riflette su se stesso e cerca di capire dove può fare la differenza rispetto ai suoi avversari compagni di fuga (focus interno)
- pensa alla prossima salita da affrontare e alle sue caratteristiche (pendenza, durata, rapporti da utilizzare, direzione del vento, ombreggiatura, etc.) (focus esterno)
- pianifica dentro di sé la strategia da utilizzare, ad esempio si rende conto, in base a tutte le considerazioni che ha fatto, che dovrà tenere la ruota di un compagno di fuga in particolare (focus interno);
- l’avversario prescelto attacca: in questo momento il ciclista si concentrerà soltanto sul fatto di prendere la sua ruota e rimanervi agganciato, senza pensare ad esempio a quante energie sta spendendo o al pericolo di crampi (focus esterno).
Come possono aiutarci i rulli da allenamento?
I rulli da allenamento – così come un cicloergometro – sono un buono strumento per allenare la capacità di switch, cioè il passare continuamente da un focus interno ad uno esterno e viceversa.
Anche in assenza di un mental trainer – che insegna opportunamente all’atleta a fare l’attività di switch – questo esercizio può essere svolto con l’ausilio di una TV posta di fronte all’atleta sui rulli.
Sarà necessario guardare una gara registrata, oppure anche una in diretta, e cercare di passare continuamente da un’analisi del proprio stato interiore (ad esempio: Quanto sono idratato? Quante energie ho? Come valuto in questo specifico momento le mie gambe? etc.) all’analisi della gara in TV (ad esempio: Quanti km mancano all’arrivo? Quanti ciclisti sono rimasti nel primo gruppo? Quale squadra sta tirando il gruppo? Quale può essere la loro strategia? Chi sarà il loro capitano di giornata? etc).
Per ottimizzare l’esercizio sarebbe opportuno preparare prima le domande da porsi e scriverle su una scheda da appoggiare su un tavolo o attaccare a una parete in un punto visibile dalla piattaforma di allenamento. Le domande devono alternarsi continuamente tra quelle che inducono l’atleta a pensare a se stesso, al suo interno, e quelle che spingono l’atleta a pensare alla gara che sta guardando in TV. Non è necessario che l’atleta risponda scrivendo – anzi non è affatto opportuno che si distragga dalla pedalata – è sufficiente che risponda mentalmente ad ogni domanda.
Una volta presa una certa dimestichezza con l’esercizio, il passo successivo per l’atleta sarà darsi l’obiettivo di mantenere un certo wattaggio – impegnativo – mentre dovrà contemporaneamente rispondere alle varie domande.
E’ davvero un allenamento che si può fare in casa, sui rulli, e da soli?
Allenarsi al focus interno-esterno – e al fare switch – è più difficile di quello che può probabilmente sembrare a prima vista, ma la sua utilità è essenziale.
Il punto è che molti atleti in gara spesso non si focalizzano sull’informazione che in quel momento è più rilevante: è il momento di capire che tipo di fuga si sta creando e invece si concentrano su quanto è ancora lunga la salita; è il momento di mangiare e invece si concentrano sul volto di un avversario per capire se sta bene o meno; è il momento di concentrarsi sulle traiettorie di una discesa e invece si concentrano sul proprio stato di idratazione; è il momento di marcare ad uomo un avversario e invece si concentrano su quanto caldo fa.
Di esempi come questi potrei farne a decine. Abituarsi allo switch, al passare continuamente dal focus interno all’esterno, è il primo passo da compiere e può certamente essere fatto inizialmente nelle modalità che ho descritto finora, sui rulli da allenamento.
Successivamente, come ogni tipo di allenamento, anche questo avrà bisogno di specializzazioni, affinamenti e approfondimenti. Si tratta di un processo non certo breve, gli adattamenti richiedono tempo, quelli mentali così come quelli fisici, tuttavia posso affermare che un atleta allenato allo switch vedrà presto cambiare il suo atteggiamento in gara, compirà meno errori e si sentirà più padrone e più sicuro di governare gli eventi che di km in km compariranno.
Torno sul tema della motivazione ad effettuare sessioni di allenamento su una piattaforma indoor. Nell’articolo precedente ho illustrato due strategie: (1) la comprensione dell’importanza fondamentale che riveste l’allenamento continuativo; (2) l’utilizzo di schede specifiche di allenamento anche in indoor. Si trattava di due strategie universali, vale a dire che sono valide per tutti gli individui. Accanto a queste esistono altre metodologie per auto-motivarsi. Sono metodologie soggettive, vale a dire che la loro efficacia o meno dipende dalle caratteristiche psicologiche di ogni singolo atleta.
Spinte motivazionali
Vediamo come un atleta può darsi delle spinte motivazionali ad intraprendere una sessione di allenamento indoor.
Per prima cosa riflettiamo un attimo sul termine motivazione: esso deriva dal latino motus – movimento – ed indica ciò che spinge un individuo a compiere una certa azione. Quindi la motivazione è il motivo che fa prendere al soggetto la decisione di intraprendere una certa azione. Esistono diverse tipologie di motivazione che sono all’origine della decisione di fare o meno una sessione di indoor training: le principali sono la motivazione estrinseca e intrinseca, quella reattiva e quella proattiva.
Motivazione estrinseca
Questa motivazione fa riferimento alla percezione di utilità associata ad una determinata azione. E’ spinto dalla motivazione estrinseca l’atleta che attraverso lo sport mira a raggiungere qualcosa di materiale e tangibile (denaro, premi, pubblicazioni sui giornali etc.)
Per auto-motivarsi all’indoor training questo tipo di atleta dovrà pensare ai benefici che riceverà dal fatto di essere riuscito ad allenarsi anziché aver fatto una giornata di riposo non previsto dalla proprio programma settimanale o mensile di allenamento.
Motivazione intrinseca
Al contrario della precedente motivazione, questa riguarda invece il piacere interiore che si ottiene nel fare una certa cosa, in questo caso quindi è spinto dalla motivazione intrinseca l’atleta che percepisce un immediato benessere conseguente all’esercizio fisico.
Questa tipologia di atleta si auto-motiverà a fare indoor training semplicemente pensando a quanto starà bene già dopo i primi minuti di pedalate e a quanto quella sensazione di benessere fisico si sostituirà velocemente ad altre sensazioni negative che lo stanno tediando in quel momento (stress, nervosismo o, al contrario, spossatezza o apatia).
Motivazione reattiva
-Si tratta di un tipo di motivazione connessa ad una reazione agli eventi. Per esempio un atleta può essere spinto a fare indoor training su indicazione del fisioterapista, il quale dopo un infortunio potrebbe avergli consigliato di riprendere il gesto sportivo specifico – nel nostro caso la pedalata – attraverso un allenamento lieve, privo di forze avverse (vento contrario, salite etc.) e con la libertà di poter interrompere immediatamente la sessione nel caso venga avvertito ancora un piccolo dolore, senza il disagio di dover trovare un modo per tornare a casa o chiamare qualcuno per farsi venire a prendere.
Motivazione proattiva
– Mentre la precedente avviene come reazione agli eventi, questa motivazione invece spinge a compiere una determinata azione per prevenirli.
Pensiamo ad esempio ai chili in più accumulati durante l’inverno: un atleta sensibile alla motivazione proattiva può auto-motivarsi a fare indoor training pensando a quanto sarà difficile perdere il peso in eccesso attraverso gli allenamenti di inizio stagione.
In questo caso l’atleta può applicare una vera e propria “strategia di contenimento”: stabilire una soglia di chili in accumulo oltre la quale sa – per esperienza, per parere del nutrizionista o per altro motivo – che non riuscirà a buttarli giù entro il primo appuntamento importante della stagione successiva.
Ogni volta che l’atleta supererà il livello di guardia prestabilito – o forse in questo caso è meglio dire il “peso di guardia” – la sua motivazione proattiva lo spingerà a fare una sessione di indoor training, la quale ricordiamo che pur essendo in inverno e lontano dalle gare non dovrà comunque essere improvvisata, ma dovrà invece seguire delle elementari regole di base che ogni preparatore sa illustrare correttamente.
Ostacoli
– Le spinte motivazionali viste finora servono a superare la cosiddetta mancanza di volontà, mancanza di voglia. Servono a trovare il giusto stimolo ad allenarsi. Tuttavia talvolta le spinte motivazionali possono non essere sufficienti, specialmente quando tra l’idea di allenarsi indoor e la sua realizzazione ci sono degli ostacoli.
Questi possono essere di tipo organizzativo, pratico o sociale. Gli ostacoli organizzativi sono legati alla difficoltà di avere a disposizione un’adeguata piattaforma da allenamento, magari perché l’atleta si trova fuori dalla propria abitazione, in albergo o ospite da amici.
Gli ostacoli pratici riguardano difficoltà oggettive, come ad esempio le difficoltà economiche per l’acquisto di una piattaforma da allenamento.
Gli ostacoli sociali sono legati alla difficoltà di avere dei compagni con i quali confrontarsi e condividere le proprie esperienze, magari perché in una certa area geografica quasi tutti si dedicano ad un’attività sportiva di altro genere e pertanto il soggetto tende a sentirsi isolato, privo di un gruppo di appartenenza.
In tutti questi casi è importante fare in modo che gli ostacoli non impediscano lo svolgimento di un allenamento indoor.
Esistono oggigiorno diverse soluzioni per superare gli ostacoli che abbiamo visto: piattaforme da allenamento leggere, pieghevole e trasportabili, la possibilità di noleggiarle anziché impegnarsi con l’acquisto, la possibilità di condividere online l’allenamento con un compagno che si trova a chilometri di distanza. Anche in questi casi è lo sviluppo tecnologico ed informatico a proporre una serie di soluzioni per potersi efficacemente allenare indoor.
Per certi versi e per certi atleti questo tipo di allenamento diventerà parte integrante del proprio programma. Una volta superata una iniziale resistenza psicologica ed aver compreso ed interiorizzato i benefici dell’allenamento indoor, non ci sarà più bisogno di darsi delle spinte motivazionali perché esso diventerà un’attività spontanea ed irrinunciabile.